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Procedendo a tentoni nella semioscurità della sala, Sandy prese posto. Espirò lentamente.
Quando i suoi genitori le avevano rivelato di essere stata scelta come beta tester di Instant Movie, aveva solamente sei anni. Avevano deciso di centellinare ogni informazione, ogni risposta alle sue incessanti seppur legittime domande, perché spiegare ad una bambina i motivi per i quali dei chip erano stati impiantati nel suo corpo ed una videocamera dovesse seguire ogni suo movimento, non parve un'idea particolarmente brillante a due assoluti disertori della tecnologia che si erano lasciati trascinare in un esperimento di cui mai avrebbero potuto avere pieno controllo
A dodici anni, Sandy cominciò a chiedersi quanto genuinamente avrebbe potuto vivere sapendo di essere costantemente sotto sorveglianza. A sedici, arrivarono i primi attacchi di panico. A diciassette, grazie all'aiuto psicologico che come da contratto l'azienda stessa le metteva gratuitamente a disposizione, imparò a vederne il lato positivo («Chi altro potrà vantarsi di aver visto un film letteralmente sulla propria vita?»), le crisi divennero sempre più sporadiche ed in alcuni momenti parve pure dimenticarsene. Unica clausola: non avrebbe potuto guardare i filmati prima del 17 marzo 2039, giorno entro il quale il montaggio sarebbe stato pronto e proiettato.
Fu in quel 17 marzo del 2039 che le luci della sala si spensero e lo schermo si illuminò. Non fu tanto una sorpresa riscoprirsi da bambina – era solita sfogliare gli album di famiglia che aveva collezionato negli anni –, quanto vedersi mentre si relazionava con persone di cui non ricordava minimamente il volto o il nome, semplici comparse che avevano fatto da sfondo ad eventi che aveva rimosso o che al contrario l'avevano segnata nel profondo, scorci di città che aveva visitato ma dimenticato. Rivisse compleanni, feste, la nascita del fratello minore, sprazzi di un'adolescenza semplice ma comunque incisiva che si susseguirono ma senza soffermarvisi troppo, ed ancora la cerimonia di diploma e di laurea, le nozze d'oro dei suoi genitori. Vide ancora candeline spegnersi, lampade accendersi per la prima volta ed ecco la sua prima casa che l'aveva vista maturare ed affermarsi quale donna indipendente, il suo primo ufficio, il suo matrimonio e la prima volta che aveva stretto il suo bambino tra le braccia. Oramai le lacrime scorrevano sulle sue guance senza che ne avesse più la percezione o il controllo.
Le passarono sotto gli occhi gli ultimi giorni – era stato ripreso perfino il tragitto casa-cinema, scena seguita da un secco “Grazie per la visione”. Fine. Erano passate cinque ore e mezza. Aggrottò le sopracciglia: era assolutamente certa che, nel firmare la moltitudine di carte, avesse anche autorizzato l'azienda ad ideare e, servendosi di comparse, girare un finale che fosse avvincente ed il più coerente possibile rispetto alla storia. Possibile che avesse mal interpretato? Delusa, stirò le gambe e fece per agguantare borsa e cappotto, in attesa che le luci si fossero riaccese e lo schermo spento per poter uscire dalla sala e tornare a casa, ma ciò non avvenne.
Dopo qualche minuto di vana attesa ipotizzò si trattasse di un problema tecnico, di un guasto all'impianto di illuminazione, quindi si avviò verso l'uscita, ma un attimo prima che varcasse il portone lo schermo si riaccese e nuove immagini presero forma. I colori erano meno sgargianti rispetto alle scene precedenti, mancava l'audio ed anche la qualità del filmato era inferiore. Riconobbe se stessa in procinto di uscire dal cinema – quel cinema, l'appariscente scritta luminosa Instant Movie che giganteggiava sulla sua sagoma pixellata non lasciava adito a dubbi. La sé del filmato fece per attraversare le strisce pedonali, rivolgendo uno sguardo rapido al semaforo, poi fece un leggero sobbalzo e prese a frugare all'interno della borsa. Probabilmente le stava squillando il telefono, pensò Sandy, ormai in piedi a pochi centimetri dallo schermo. La sua ipotesi fu confermata quando vide la sua copia estrarlo dalla tasca, darvi un'occhiata e poi portarlo con un sorriso sgargiante all'orecchio. Disse qualcosa, ma la ripresa era troppo lontana e sgranata per poter leggere il labiale.
Gli ultimi dieci secondi del film riuscirono a turbarla e non poco: una station wagon laccata nera si materializzò sullo schermo, alla guida una sagoma che la scarsa qualità dell'immagine le impedì di identificare, che sfrecciava oltrepassando palesemente ogni limite di velocità e la prese in pieno. Dopodiché lo schermo si fece nero e le luci della sala si accesero.
Passò qualche secondo prima che Sandy riuscisse a reagire. Perché dare un finale drammatico ad una storia tra alti e bassi pressoché felice? Tanti pensieri contrastanti le affollavano la testa – cosa sarebbe cambiato, adesso, se comunque non avrebbe potuto modificare nulla di ciò che aveva già vissuto? Era stato piacevole rivedere certi momenti, certo, ma perché li sentiva così distanti da sé, come se fino a quel momento si fosse nascosta dietro le quinte di una vita che non le apparteneva? Se non le fosse stata concessa la possibilità di catturare per sempre i singoli istanti della sua vita, avrebbe permesso allo stesso modo che le scivolassero via dalle mani oppure li avrebbe tenuti più stretti?
Era immersa in questi pensieri quando, dopo aver salutato e ringraziato il receptionist, sceso i gradini rivolgendo indietro un'occhiata piena di inquietudine mista a risentimento, si avviò in direzione di casa, che, per la fortuna delle sue gambe che ormai non riuscivano a reggersi da sole, era al di là della strada. E proprio mentre il cellulare cominciava a vibrarle in borsa e l'insegna luminosa dell'Instant Movie con un fastidioso ronzio si spegneva per non essere mai più riaccesa, realizzò quanto sopravvalutati siano i ricordi e quanto, al giusto momento, sia importante lasciarli andare.